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Cosa vuoi fare da grande?

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La “riscossa” dei Master of None

Quando da piccoli ci ponevano la fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?”,  abbiamo risposto pensando a qualcosa o a qualcuno che ci affascinava particolarmente in quel momento della nostra vita, dall’astronauta al postino.

Magari qualcuno ha proseguito ed è veramente diventato quello che voleva diventare a cinque anni. Più probabilmente non è successo: dai cinque anni in poi molte cose cambiano nella vita, quindi niente di anomalo nell’aver fatto scelte diverse, crescendo.

Oggi, alla domanda che “lavoro fai?”, molti di noi rispondono in breve utilizzando al più una o due parole: Cardiochirurgo, Fattorino, Project manager, Operatore ecologico. Altri fanno più fatica perché il lavoro in sé è nuovo e non ha ancora un’espressione sintetica.

Altri ancora fanno così tanta fatica a descriverlo ai non addetti, da usare formule quali “spaccio” – quando l’obiettivo è togliersi di torno l’interlocutore – oppure “se hai dieci minuti te lo spiego”. Qualche volta dieci minuti non sono sufficienti.

Io appartengo a quest’ultima categoria e anche con gli addetti ai lavori a volte mi tocca usare job title diversi, in funzione del cappello che sto indossando in quel momento. E non perché io sia un truffatore, ma proprio perché la complessità del lavoro mi porta a indossare cappelli diversi davanti a interlocutori che vedono, o hanno bisogno, solo di uno dei miei cappelli.

Oggi viviamo in un contesto dove quantità e qualità di informazioni da maneggiare in ogni ambito richiedono specializzazioni verticali estremamente approfondite: ci saranno almeno una ventina di diverse professionalità, dove un tempo c’era “l’informatico”, giusto per fare un esempio.

Essere iperspecialista ha una serie di vantaggi evidenti, sia per la persona – che diventa sempre più capace e confidente – sia per l’organizzazione che la assolda per un lavoro – che sa di poter contare su qualcuno in grado di risolvergli un problema. La cosa ha un effetto positivo anche in termini di riconoscimento sociale della persona stessa: “è un professionista”, si dice con tono di approvazione.

Come tutte le cose, essere uno specialista ha anche dei lati meno brillanti: perdita di flessibilità operativa, ridotta visione d’insieme, difficoltà a interagire con specialisti di altri ambiti. Ma sinora i vantaggi hanno ampiamente superato gli svantaggi.

Tanto che i non specialisti sono percepiti come “qualcosa di meno”.

Ma la bizzarra situazione che stiamo vivendo potrebbe essere un’opportunità di riscatto per i non specialisti: un futuro carico di incertezze, la necessità gestire un contesto lavorativo che comunque sarà diverso ma nessuno sa come e quanto, potrebbe favorire una “riscossa”  dei non specialisti a patto che appartengano a una categoria che ho scoperto guardando questo talk:

(https://www.ted.com/talks/emilie_wapnick_why_some_of_us_don_t_have_one_true_calling?utm_campaign=tedspread&utm_medium=referral&utm_source=tedcomshare

Emily Wapnick mi ha aperto un mondo, il mondo dei Multipotentialite, ovvero quelli che non riescono a specializzarsi in qualcosa.

Per appartenere alla categoria occorre avere alcune caratteristiche:

  1. Essere bravi in due o più campi diversi: nel video Emily cita ad esempio il dott. Bob Childs, Piscoterapeuta e… liutaio;
  2. Avere un ampio spettro di interessi, cioè essere costantemente curiosi e desiderosi di esplorare cose nuove. 
  3. Essere autodidatti veloci ad apprendere. Qui una precisazione va fatta: autodidatti nel senso moderno del termine, ovvero capaci di sfruttare tutte le (immense) risorse a disposizione per imparare cose nuove. Sfruttando un vantaggio apparentemente controintuitivo: “imparare cose nuove” vuol dire ripartire sempre da zero, vien da pensare. Ma in realtà è falso, perché la varietà di conoscenza accumulata fa da booster del processo di apprendimento.
  4. Non spaventarsi dal provare a fare cose nuove. Autoesplicativa ma non facile da mettere in pratica!
  5. Essere innovatori o favorire la contaminazione incrociata di idee e contesti diversi.
  6. Eccellere nell’analisi e nel problem solving. Se sei abituato/a ad affrontare temi nuovi, problemi nuovi, conoscenze nuove, è probabile che che la capacità di analisi e di risoluzione di problemi sia fortemente sviluppata.

È opportuno ricordare che la logica non è binaria: “abbasso gli specialisti, viva i multipotentialite”. Piuttosto è integrativa, complementare. Soprattutto in un momento come questo, la flessibilità operativa e la capacità di integrare conoscenze diverse (e di conseguenza di dialogare con specialisti diversi) possono essere un ottimo motore per gestire le non poche incognite ci attendono.

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