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Verso la fine degli anni Trenta, la psicologa lituana Bluma Zeigarnik, iniziò a osservare i camerieri che servivano nei ristoranti di Vienna. Si accorse così di una particolarità ricorrente: tutti loro ricordavano perfettamente le ordinazioni in corso. Di quelle concluse, invece, nessuna traccia.
Studiò più nel dettaglio il fenomeno osservato e chiamò in causa un gruppo di persone a cui sottoporre una serie di 18-22 problemi logici e matematici interrompendole volontariamente più volte nel corso dell’esperimento.
Il risultato fu che le persone coinvolte in questo test ricordavano i problemi sui quali erano state interrotte mentre avevano cancellato quasi del tutto quelli portati a termine.
Si, lo riconosco. Capita anche a me ogni giorno e non credo affatto di essere l’unica!
Alzi la mano chi non ha letto una mail nello spazio-tempo di un semaforo rosso senza avere la possibilità di rispondere per poi arrivare in ufficio ed essere interrotto altre mille volte fino a quando, finalmente, si riesce a digitare la risposta e cliccare su invia.
Il nostro cervello fissa quell’azione incompiuta e ritorna più volte su di essa per portarla a termine il prima possibile.
Ma questo cosa c’entra con la vita di tutti i giorni? Specialmente con quella lavorativa?
Beh, c’entra eccome se pensiamo a quante volte iniziamo un’azione e poi veniamo interrotti senza portarla a compimento. Vedi, appunto, la mail al semaforo rosso.
Questo fenomeno è chiamato effetto Zeigarnik. In altri termini, è la tendenza che spinge il nostro cervello a ricordare meglio le cose incompiute rispetto a quelle portate a termine.
Apro una parentesi: questo meccanismo vi suona familiare con quello delle tele novelas alla Beautiful-maniera che, nonostante 23.456.760 puntate, sopravvivono?
Lì si chiama “cliffhanger” che altro non è che un’applicazione dell’effetto Zeigarnik. Le puntate vengono interrotte sul più bello generando suspance e curiosità per indurre il telespettatore ad attendere trepidante la puntata successiva.
C’è da dire che, dal punto di vista pratico, esistono due possibili conseguenze di questo effetto, tanto nella vita privata che in quella lavorativa:
A. Evitare la procrastinazione.
Siamo motivati a completare l’azione, a raggiungere gli obiettivi e rimanere focalizzati e concentrati sul lavoro che stiamo svolgendo.
B. Generare ansia e insoddisfazione.
Siamo sopraffatti dai compiti che dobbiamo svolgere e sentiamo che il tempo non ci basta.
La domanda sorge spontanea:
E’ possibile sfruttare l’effetto positivo A. ed evitare di spingerci sul baratro della disperazione per tutto quel che ancora non abbiamo completato (effetto B.)?
Tranquilli, la risposta è SI.
Svelato il meccanismo che attua la nostra mente, possiamo agire di conseguenza raggirandola – per così dire – per sfruttarlo a nostro favore. Ci sono almeno tre modi per farlo:
1) Suddividere i tasks in sotto-obiettivi.
In questo modo il cervello si rallegra del buono stato di avanzamento dei lavori ed è più motivato a completare i compiti.
2) Separare vita privata e lavoro.
Aggiungere le preoccupazioni della vita privata e mescolarle con i compiti e gli obiettivi quotidiani della vita lavorativa non è mai una buona idea. Aumenta l’ansia e lo stress. Meglio separare le due cose!
3) Abbandonare il mito del multitasking.
Tralasciando che in effetti sono pochissime le persone in grado di svolgere contemporaneamente più lavori concettuali, fare più cose contemporaneamente è assolutamente da evitare perché guida il pensiero verso i tasks incompiuti e penalizza la produttività.
Insomma, abbiamo capito che un’azione interrotta resta impressa nella mente e che possiamo svolgere tutti i compiti che ci spettano senza panico.
Sfruttando alcuni semplici ma essenziali accorgimenti, possiamo aumentare considerevolmente la produttività sul lavoro e liberarci dalle tenaglie della cattiva gestione del tempo!
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