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“Giocazione” è un orrendo neologismo che mi sono appena inventato nel – temo vano – tentativo di trovare un’alternativa a “gamification”. Non che “gamification” non mi piaccia: è comunque meglio di “gamificazione”, ma per l’accoglienza che ha quando tiro fuori il termine. Infatti si va da «l’abbiamo già fatta e non funziona» a «No, è troppo avanti per noi!». Mentre io sono convinto non solo che i margini per applicarla siano veramente ampi ma che siano anche crescenti!
Andiamo con ordine: una delle tante definizioni di gamification è «l’applicazione delle dinamiche e tecniche del gioco in un ambito di non gioco». E qui sta il primo inghippo: la stessa Treccani qui si scorda delle “dinamiche”. Le “tecniche” di un gioco fanno spesso riferimento a assegnazione di punti, premi, badge (o distintivi, come quelli degli scout) progressione di livello, ecc. Tutti strumenti utilissimi in un contesto di gioco che partono da un presupposto che non è necessariamente vero in un contesto aziendale: che il giocatore sia consapevole del gioco e che voglia giocare per trarne piacere.
La parte delle dinamiche invece è fondamentale e riguarda proprio quest’ultimo punto: sviluppare dei meccanismi che in qualche modo sviluppino piacere. Non che sia facile sviluppare piacere in qualcun altro, ma un modello che trovo intrigante è quello octalysis sviluppato dal coreano Yu-kai Chou al quale rimando per approfondimenti. In sintesi, il suo modello prevede di prendere in considerazione i meccanismi motivazionali che inducono a giocare e ne individua otto:
- Significato Epico e chiamata – il giocatore è il “il prescelto” per fare qualcosa di grande. Ovvero la costruzione di una buona narrazione sottostante della quale il giocatore è protagonista.
- Senso di crescita – La percezione di superare ostacoli e di migliorare nel farlo (e i “punti” o i “livelli” sono solo lo strumento che aiuta a percepirli, non il fine).
- Sviluppo di creatività e feedback sui risultati – Appunto perché protagonista il giocatore sente di contribuire fattivamente allo sviluppo del gioco e ne ha feedback immediati. Solo questo punto può fare molto riflettere i nostri manager.
- Appartenenza e possesso: senso di controllo – Qualunque cosa succeda nel gioco è frutto dell’azione del giocatore
- Appartenenza e relazione sociale: crescita comune – Il gioco e/o le sue conseguenze non sono relegate alla sfera individuale ma sono socializzate.
- Scarsità e impazienza – Voglio qualcosa solo perché è scarso, Robert cialdini insegna.
- Imprevedibilità e curiosità – Presenza nel gioco di elementi di imprevedibilità che alimentino la voglia di “vedere come va a finire”
- Perdita ed evitamento – Evitare di perdere quanto acquisito o un evento negativo sono un forte motore motivazionale
Naturalmente non devono essere presenti tutti o con la stessa intensità: quello che fa la differenza ovviamente è l’attinenza con il contesto per il quale il “gioco” viene sviluppato.
Per chiudere: lo so che “ludicizzazione” è la parola italiana che viene usata al posto di “gamification” e probabilmente è la più corretta. Ma non mi piace un granché neanche lei e poi… posso giocare un po’ con le parole?
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