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Leadership al femminile?

Photo by Tima Miroshnichenko from Pexels

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«Confesso che sono un po’ tiepida, quando sento parlare di leadership al femminile, perché di solito lo si dice in modo svalutativo. C’è la leadership e poi c’è anche quella femminile. Però ci sono diversi modi per interpretare la leadership e allora potrebbe essere che, percentualmente, le donne tendono più ad avere un determinato stile di leadership?».

Per orientarci sul tema della leadership al femminile abbiamo chiesto aiuto a Gaia Melloni, direttrice del Dipartimento di Organisational Effectiveness della ONG ActionAid, nonché studiosa e attenta osservatrice dei temi della leadership e, più in generale, di tutto ciò che accade quando le persone lavorano insieme.

«Si può verificare che le donne, in termini puramente statistici, applicano di più un certo stile di leadership piuttosto che un altro. Ad esempio sono più orientate al coaching». Gaia ci segnala il risultato di una ricerca condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e People 3.0, pubblicata di recente, nel maggio 2021. Da questo lavoro risulta, in effetti, che tra le donne sarebbe più diffuso uno stile di leadership improntato alla collaborazione, all’ascolto, al coaching.

Ma da dove arriva questo ‘stile al femminile’?

«La questione è sempre quella: esiste una leadership femminile o maschile? Oppure esiste una leadership prodotta dalla cultura A e una prodotta dalla cultura B? O, ancora: è la biologia a determinare un certo stile di leadership o è la cultura a determinarlo?», spiega Gaia Melloni.

«Personalmente credo che l’aspetto culturale sia dominante e allora, sul piano culturale, si possono proporre veri e propri principi di leadership femminista. Principi che abbiano cioè un approccio intersezionale, che guardino ai rapporti di potere e come vengono trattati». Qui c’è un esempio, tratto appunto dall’esperienza dell’ong in cui lavora Gaia, dove si trovano dieci impegni che chi lavora in ActionAid cerca di perseguire, così da superare discriminazioni e ostacoli basati sul genere.

«E poi esiste un’importante differenza, tra quello che ci si aspetta e quello che avviene in realtà. Ci si aspetta che la donna leader sia più partecipativa? Più predisposta all’ascolto? Se così è, allora torna in primo piano il discorso della cultura, quella organizzativa nello specifico: perché ci si aspettano certi comportamenti da una donna piuttosto che da un uomo? La cultura di un’organizzazione ha un impatto forte e ce l’ha sui differenti generi».

A questo proposito torniamo con Gaia Melloni sul fatto che, secondo la ricerca sopra citata, le donne leader siano più orientate al coaching. Questo risultato non è forse conseguenza del fatto che, storicamente, dalle donne ci si aspetta che siano più disposte degli uomini agli incarichi di cura? Gestire i figli i genitori anziani e via dicendo, nella storia delle nostre famiglie è sempre stato compito delle donne. E, dunque, non potrebbe essere che questa impostazione culturale – senz’altro da superare – si sia riversata anche nella pratica della leadership sul lavoro?

«Sì, il sospetto è forte – risponde Gaia – ma proverei a invertire la questione. Prendersi cura delle persone è una cosa positiva. Sul lavoro significa essere predisposti all’ascolto, al far crescere le persone, a coinvolgerle, a motivarle. Ed è uno stile di leadership positivo ed efficace. Dunque, anziché chiederci se è una prerogativa femminile, dovremmo chiederci come possiamo fare in modo che tutti i leader, donne e uomini, sappiano applicare un simile stile di leadership».

Insomma, la questione sembra essere quella di migliorare la leadership, non di classificarla per genere e meno che mai di decidere quale sia migliore o peggiore. «Non si tratta di una competizione: stiamo imparando a far emergere le nostre capacità», scrive Fabiola di Loreto, direttrice di Confcooperative, nella prefazione al libro di Samantha Gamberini e Renata Borgato, Tre volte più grande: manuale di negoziazione a uso delle donne e non solo.

«Stiamo imparando a far emergere le nostre capacità, anche se spesso usiamo tecniche che imitiamo al genere maschile e questo ci crea non poche difficoltà (ivi compresa la nostra incapacità di fare squadra tra di noi)», continua Di Loreto, e anche secondo lei occorre impegnarsi sul versante culturale.

«Più di dieci anni fa – il libro è uscito nel 2018 – è nata al nostro interno la Commissione Dirigenti Cooperatrici con l’obiettivo di rafforzare la presenza femminile nella governance di Confcooperative e, a cascata, dare visibilità al contributo delle donne nelle imprese cooperative. Un lavoro impegnativo che ha permesso di acquisire consapevolezza a un gruppo sempre più folto di donne, non solo dirigenti, che trasferiscono le loro visioni anche al gruppo dirigente nazionale – misto – garantendo così una trasformazione politico culturale necessaria e condivisa» anche se, aggiunge la direttrice di Confcooperative, questo buon metodo «non sembra la soluzione per un problema che va oltre confini e strategie di ogni singola impresa o organizzazione».

Il dibattito, dunque, è aperto e le cose da fare sono ancora molte.

 

 

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