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Networking nel museo (virtuale)

Di Nicola Grande.

«L’obiettivo è fare networking. Va bene se si divertono e si appassionano, ma i partecipanti devono sentirsi parte di una squadra, anche se a distanza, anche se si vedono solo attraverso lo schermo di un computer».

Una richiesta abbastanza normale: un team building come tanti ne abbiamo fatti. Peccato che sia arrivata accompagnata dalla frase “ovviamente sono e restano tutti in smartworking”, Teambuilding in epoca covid-19.

Come tutti, nel settore della formazione, anche i miei colleghi e io abbiamo affrontato profondi cambiamenti in questi mesi. Per fortuna già da un po’ eravamo entrati nel mondo della produzione video per la formazione, mancava il passaggio alle conferenze on air, alle virtual classroom ai webinar. Ai team building online. 

Team building: occasioni in cui le persone sperimentano forme di collaborazione per raggiungere due obiettivi, uno manifesto l’altro meno.

Quello manifesto riguarda la struttura delle attività proposte, dal mettere in scena uno spettacolo allo scalare una parete. Quello meno è il vero motivo dell’attività: stimolare comportamenti aggreganti e vedere l’effetto che fa.

In presenza ne abbiamo realizzati con attività teatrali, concerti musicali, costruendo macchine di Goldberg o robot di cartone mossi da sistemi idraulici, anch’essi autocostruiti. Tutte occasioni in cui le persone si esercitano nel gioco di squadra, in cui usano testa e mani, costruiscono qualcosa, condividono lo stesso spazio e, alle volte, stanno molto vicini. Tutte occasioni, insomma, in cui la fisicità è molto importante.

Ma adesso? 

In questo caso è venuta fuori una escape room digitale. Chi non sa nulla di escape room, pensi alla caccia al tesoro. Si tratta di risolvere un enigma dopo l’altro per, alla fine, raggiungere un obiettivo che nella caccia al tesoro è trovare un premio finale, nell’escape room è salvarsi da una situazione problematica uscendo dalla stanza.

Come sanno gli appassionati (che prego di perdonarmi per questa associazione un po’ scandalosa con le cacce al tesoro) le escape room si possono giocare dal vivo, in stanze attrezzate per far vivere l’esperienza nel modo più coinvolgente possibile. Oppure esistono sotto forma di gioco da tavolo, da svolgersi usando delle carte. Ci sono anche escape room nella versione videogioco, ma ci appassionano meno perché – di solito – non favoriscono molto la collaborazione come invece capita trovandosi insieme in una stanza o intorno a un tavolo.

Non avendo queste possibilità, la nostra escape room l’abbiamo realizzata online. E abbiamo spedito i partecipanti – divisi in squadre come in ogni team building che si rispetti – nel luogo probabilmente meno usato per i team building del pianeta posto nella città più sofferente per il Covid: un museo a New York.

Già da qualche tempo molti musei sono diventati visitabili online, il più delle volte usando la tecnologia di Street View di Google, ma non solo. Il museo che abbiamo scelto non è uno dei più famosi al mondo. Ma, tenuto conto della sua dimensione ridotta, regge il confronto anche con mostri sacri come il Louvre o gli Uffizi. Inoltre, ha una navigabilità online senza uguali. Si tratta della Frick Collection, residenza privata di uno dei padri del capitalismo statunitense, Henry Frick, che negli anni Trenta del secolo scorso è diventata un museo aperto al pubblico.

Vi si trovano opere di Piero della Francesca, Rembrandt, Tiziano, Monet, Goya, Vermeer e altri ancora. E l’atmosfera è quella, calda e accogliente, di una elegante dimora.

Seguendo il dipanarsi di una storia ambientata nel secondo decennio del ‘900 – di cui il magnate Frick è protagonista – i partecipanti hanno affrontato via via difficoltà, in cui, dialogando dagli schermi di un computer, si sono calati in una realtà che hanno definito “immersiva”. Non parliamo di 3d, realtà virtuale e simili. Ma con un (gran) bel luogo, una buona narrazione, una struttura testata sino alla nausea si possono ottenere buoni risultati, è una strada percorribile.

Lo scrivo e lo dico per l’ennesima volta: non è la favola del “in digitale si può fare tutto quello che si fa in reale, anzi meglio”. Le esperienze dal vivo sono un’altra cosa.

Ma c’è spazio, e anche molto più di quanto sino a febbraio si sarebbe potuto pensare, per sperimentare realtà nuove che potrebbero – e sottolineo potrebbero – sopravvivere al distanziamento sociale.

Chi conosce i romanzi della serie Millennium, di Stieg Larsson, o ha visto i film che ne sono stati tratti, sa chi sono Lisbeth, Plague, Trinity e Bob the Dog. Insieme formano La Repubblica degli Hacker, una squadra eccezionale che inchioda anche il più sfuggente dei cattivi. Una squadra che lavora solo online. Di persona, i suoi elementi non s’incontrano mai.

Forse non possiamo sperare di arrivare a quei livelli, e probabilmente nemmeno ci interessa. Ma in questo “new normal” al quale dovremo abituarci per un tempo indefinito, c’è spazio anche per attività diverse, diverse dalle riunioni su Teams (che peraltro sarebbe del tutto inadeguato allo scopo, nota a margine). Detto questo, appena sarà possibile organizzare un giro a New York, per visitare dal vero la Frick Collection – anche senza fare un team building – io ci sto.

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