Il 17 luglio del 1997, sul palco dell’Arena del Sole salgono dodici attori. Quattro sono manager pubblici, quattro sono manager privati, due sono senza fissa dimora, due soffrono di disturbi psichici. Il tema dello spettacolo è la creatività e gli attori non sono proprio attori (vabè, è chiaro). Stanno partecipando a un minicorso gestito da Paolo Vergnani, che con questo spettacolo inaugura il teatro d’impresa in Italia.
Ventidue anni dopo, proviamo a riproporre la cosa. Non il teatro d’impresa, quello l’abbiamo già riproposto più volte in tante occasioni e contesti. Quello che tentiamo di organizzare è l’incontro tra persone che, apparentemente, non hanno nulla da dirsi. (No, non ci riferiamo a chi lavora nel pubblico e chi lavora nel privato, dài).
Il 3 ottobre, presso le Cucine Popolari di Bologna ceneranno insieme 24 manager e 12 ospiti delle Cucine stesse. Ci aspettiamo che non si limitino a mangiare. Prima che i piatti vengano serviti in tavola, i 36 invitati ascolteranno un relatore parlare di un libro. Il 3 ottobre il tema sarà la stupidità, affrontato a partire da questo libro, e il relatore sarà Paolo Vergnani (non perché lui c’entri con la stupidità, ma perché solo con Vergnani si poteva riannodare il filo con l’iniziativa di ventidue anni fa). Poi, mescolati in vari tavoli, i commensali saranno invitati a dire cosa pensano di quanto gli è stato raccontato.
Tre settimane dopo si parla di felicità, e tre settimane dopo ancora, è la volta del modo con cui pensiamo (cioè lentamente e velocemente).
Il titolo dell’iniziativa è La struttura che connette. Il sottotitolo è Libri in mensa. Bello, vero? Confessiamo che per il titolo dobbiamo qualcosa a Gregory Bateson, mentre l’associare la mensa al leggere – roba nostra – ci riporta alla saggezza latina contenuta nella frase «mens sana in corpore sano».
Però ammettiamolo: al di là del titolo, è l’idea che è bella! Persone diverse per storia, esperienza e tante altre cose ancora che mangiano insieme e chiacchierano tra loro. «Le differenze sono dei valori!», bellissima frase che chissà quante volte abbiamo sentito. Capace che ci abbiamo pure creduto, in qualche occasione.
Poi, ognuno di noi ha avuto il momento rilevatore che gli ha fatto crollare questa illusione. Il pranzo in cui devi trovare una cosa da mangiare che vada bene a tre bambini. Il cinema da scegliere con gli amici. La discussione con i colleghi per mettersi d’accordo su un progetto.
Insomma, col cavolo che le differenze sono un valore. Le differenze sono una cosa da gestire, e di solito farlo è difficile. Ma va fatto. Far incontrare persone tra loro diverse per esperienza e storia, valori e ideologie, schieramenti politici, crediamo sia necessario. L’alternativa è chiudersi nel proprio mondo, sperando che tutto vada sempre bene.
Nelle prossime settimane, dunque, su questo blog e in un podcast in via di costruzione – dal titolo La struttura che connette – racconteremo di questa iniziativa. Con l’obiettivo, naturalmente, di farne altre ancora che abbiano sempre l’obiettivo di far parlare persone che, apparentemente, non hanno nulla da dirsi e, se ce l’hanno, sono insulti.
P.s. la foto in testa al post ritrare un appunto scritto da Paolo Vergnani in occasione dell’evento di ventidue anni fa. Non si butta via niente.
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