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Pendolari chiacchieroni

Foto di Rafael De Nadai su Pexels.

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Come tutte le mattine, siamo sul treno. Chattiamo con lo smartphone, sprofondiamo nella lettura di un libro e, se abbiamo un posto a sedere, capace che dormicchiamo un po’. L’ultima cosa che ci verrebbe in mente di fare è attaccare bottone con qualche compagno di viaggio. Comprensibile, ma sbagliato.

Quando a dei pendolari di Chicago è stato chiesto di iniziare un discorso con qualche compagno di viaggio, la reazione non è stata positiva. Chi, nonostante tutto, ha accettato di sottoporsi all’esperimento aveva la certezza di sentirsi a disagio nonché di rompere le scatole agli interlocutori (in almeno il 40% dei casi).

E invece è andata nel modo contrario, per gli uni e per gli altri. Chi ha attaccato discorso ne ha tratto una sensazione piacevole e lo stesso è accaduto a chi è stato tirato in ballo nella discussione. Un doppio effetto che, peraltro, non conosce  frontiere: funziona tanto su chi si considera estroverso come su chi si considera introverso.

L’esperimento di Chicago è stato ripetuto a Londra, su 700 pendolari. E anche in altri contesti, tipo sale di attesa. I risultati sono  sempre gli stessi: tanto chi ha attaccato bottone quanto chi è stato coinvolto, ha valutato l’esperienza in modo positivo.

I ricercatori che hanno condotto questi esperimenti dicono che la spiegazione è semplice: siamo esseri sociali, nonostante tutto, e scambiarci messaggi, parlare di noi e sentire storie di altri arricchisce le nostre esistenze.

Di questo argomento ha scritto la BBC, che ha pure dedicato un giorno, il 14 giugno scorso, al Crossing Divides On The Move: Conversational Commutes. Detta semplice, in collaborazione con alcune aziende di trasporto, la BBC ha invitato i pendolari a prestare attenzione ai vicini di viaggio. I treni della Virgin, dal canto loro, hanno destinato alcuni vagoni alle chiacchierate (e non quelle fatte con whatsapp, hang out, telegram…).

A noi di SPELL, questa vicenda del ‘parla con gli estranei che ti circondano’ ha colpito per due motivi. Primo, riguarda l’innalzamento del livello del lavoro, perché il pendolarismo tra casa e lavoro è parte del lavoro. Secondo, perché è una roba controintuitiva, e a noi le cose controintuitive piacciono un sacco.

Infatti, di solito non ci mettiamo a chiacchierare con chi ci sta intorno. Perché pensiamo che chi ci sta intorno non voglia parlare. E poi perché  crediamo di non piacere agli altri, di essere vissuti come dei disturbatori.

Sia chiaro, nessuno gradisce essere oggetto di attenzioni indesiderate. Inoltre, può capitare che chi ti sta intorno sia davvero immerso in qualcosa da cui non vuole esser tirato fuori: può essere un lavoro a brevissima scadenza, può essere la lettura di qualcosa di appassionante. Io, nel periodo in cui leggevo Il Conte di Montecristo, credo di aver rischiato diverse multe, sul treno, perché non rispondevo al controllore (mai letto Il Conte di Montecristo? Che fortuna… io sto ancora cercando un processo di cancellazione della memoria selettiva, per poter rifare l’esperienza da capo).

Ma non si tratta di trasformarsi in stalker: basta un cenno di saluto, un sorriso, un ‘buongiorno’. Se poi, da questo nasce la conversazione, ok. Sennò non è necessario – e neppure opportuno – forzare.

Ah, se per caso avete scritto un libro e in treno, seduta davanti a voi c’è un’estranea che lo sta leggendo, fatevi avanti senza esitazioni. Occhio, però, perché potrebbe esserci il trucco (questa la capisce solo chi ha letto La famiglia Winshaw di Jonathan Coe, ma ci piaceva scriverla).

 

 

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