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Statistiche a uso personale

Il podcast si può ascoltare qua. Photo by rawpixel.com from Pexels
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Stamattina, accompagnando mio figlio a scuola, ho sentito un po’ di freddo. Ma eh allora, ‘sto riscaldamento globale di cui tanto si parla non esiste, è una fesseria.

Valentino Parlato era un giornalista che fumava tantissimo. Aveva sempre una sigaretta in bocca. È morto a 86 anni, Valentino Parlato, quindi, fumare non fa male.

Mio cugino conosce un tizio che ha un amico che ha sentito un tipo dire al bar che una sua collega ha un cognato che ha vinto al Super Enalotto. Quindi posso vincere anche io.

Io sono Daniele di SPELL e questi sono esempi di ‘statistiche a uso personale’, di cui parliamo in questa terza puntata di La sicurezza dell’asino, il podcast dedicato alla sicurezza sul lavoro.

Le statistiche a uso personale funzionano così: di ciò che mi accade intorno, seleziono solo quel che conferma qualcosa di cui sono già convinto.

Poco importa che la comunità scientifica abbia dimostrato che il riscaldamento globale esiste, esiste eccome, ed è un problema enorme: io stamattina ho sentito freddo. Non m’interessa che fumare faccia morire ogni anno, nel mondo, 6 milioni di persone: il giornalista Valentino Parlato è vissuto a lungo e, ora che ci penso, c’ho pure una zia che fuma come una ciminiera e sta una favola. E neppure mi tange che la probabilità di fare 6 al superenalotto sia di 1 su 622 milioni. Il cognato di quella collega del tipo al bar che è stato ascoltato dall’amico del tizio che conosce mio cugino, ha vinto: posso e voglio vincere anche io.

Io tengo conto solo di quei fatti che mi danno ragione, perché aver ragione è molto meglio dell’alternativa: ammettere di aver sbagliato qualcosa, e dunque dover riflettere su cosa devo fare per sistemare le cose (che poi credo che sia il motivo per cui esistono adulti che, in buona fede, ancora dubitano del riscaldamento globale: non è il massimo l’idea di lasciare ai propri figli un pasticcio del genere da risolvere).

Le statistiche a uso personale sono frutto di un ragionamento perverso. Un ragionamento che mi porta a dire «Va bè, ma su quella passerella sospesa nel vuoto a 50 metri dal suolo, sono già passato altre volte, non è mai successo niente, ci passerò ancora».

Oh, ragionando così si giustifica anche la roulette russa, avete presente? Quel macabro gioco d’azzardo – molto macabro e molto d’azzardo – che consiste nel mettere un solo proiettile nel tamburo di una pistola a sei colpi. E poi si gira il tamburo, si appoggia la canna alla tempia e si preme il grilletto. Può capitare che per dieci volte di fila, ma anche per venti, il proiettile in canna non ci vada. Ma da qui a pensare che giocare alla roulette russa non sia pericoloso, ce ne corre.

Bertrand Russell, il matematico filosofo – un altro che è vissuto un sacco, 98 anni, pur essendo un fumatore, di pipa, nel suo caso – spiegava la cosa ricorrendo al pollo. Diceva che il pollo, ogni mattina, quando arriva il contadino, gli va incontro tutto contento perché il contadino gli porta il cibo. E fa così anche il mattino che il contadino non ha intenzione di portargli del cibo, ma di trasformare lui, il pollo, in cibo. A dirla tutta, meglio così: che il pollo almeno resta sereno sino alla fine. Se tutte le sere s’addormentasse pensando “uh mamma, chissà se domattina mangio oppure vengo mangiato”, sarebbe tremendo, e non cambierebbe le cose (vi è venuta voglia di diventare vegetariani, vero? Ottimo).

Però, noi che polli non siamo, rendiamoci conto che l’assistere tante volte a un dato evento non vuol dire che quell’evento si verificherà sempre. Che nessuno sia mai entrato nel mio computer, anche se la password è ‘pippo’, non vuol dire che nessuno ci entrerà mai, e quindi, forse, è meglio che la cambi. Anzi, lo faccio subito… cambia password: q  w e r t y. Qwerty, dai che a questa non ci pensa nessuno.

Fare un uso personale delle statistiche, sia chiaro, è cosa che accade in tanti campi, non solo in quello della sicurezza. Diciamo che, in quanto torinese, io voglia mettere in cattiva luce i bolognesi. Mi piazzo all’ombra delle due torri a filmare chi butta cartacce per la strada, chi passa con il rosso e registro pure l’audio di persone che dicono parolacce parecchio brutte. Ora, se ci sto un tempo sufficientemente lungo, a Bologna, una decina di persone che imbrattano le strade, che passano senza aspettare il verde, che dicono improperi, le troverò pure, no? E una decina di persone mi consentono già di fare un bel video che poi pubblico sui social. E pubblico cose vere, successe davvero. Dei fatti, insomma.

Solo che ho selezionato quei fatti che confermano quello che voglio sostenere, e cioè che i bolognesi sono poco raccomandabili. Che quelle che metto nel video siano lo 0,001% delle persone che ho filmato, lo tengo per me. Bene, se faccio una cosa del genere, uso le statistiche ai miei interessi, ai miei fini. E quindi ho fatto coscientemente un’operazione palesemente scorretta.

Il problema, dal punto di vista della sicurezza, è quando queste cose le facciamo in modo inconscio. Cioè praticamente senza accorgercene (o quasi). E perché dovremmo fare una cosa del genere? Perché è rassicurante, appunto, perché ci dà una sensazione di sicurezza che, però, è falsa. Dunque, dobbiamo fare attenzione a come raccogliamo e interpretiamo i dati, i fatti, gli eventi. Sennò, ciao sicurezza.

«Sì, vabè – si potrebbe dire – ma qualcuno al Super Enalotto ogni tanto vince, no?» Sì, vero, verissimo. Solo che è bene che ti convinca di una cosa. Che quel qualcuno, è molto improbabile che sia tu. Ma molto molto, davvero molto improbabile.

Ci ritroviamo alla prossima lettera, la I di illusione del controllo.

 

 

 

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