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«No, di nuovo!» – Gli errori

Se vuoi, puoi ascoltare il testo qui. Sennò, continua a leggere. Se né vuoi ascoltare né vuoi leggere… vabè, non te ne voglio. C’è di meglio, tipo questo.

 

Londra, metà anni ’90. Un uomo è nel suo studio, davanti a sé, sulla sua scrivania, ha la stampata di un libro. L’uomo ha un’aria seccata, sta scrivendo una lettera, alla persona che gli ha mandato questo libro. L’uomo, di mestiere fa l’agente letterario, cioè aiuta gli scrittori a trovare una casa editrice presso cui pubblicare le proprie opere. E, per qualche motivo che non sappiamo, la persona che gli ha spedito questa stampata, deve avergli fatto girare le scatole. Perché lui, anziché mandargli una risposta cortese, dicendogli «mi spiace, ma ho già molti clienti, non ho tempo per seguirla adeguatamente, le auguro però buona fortuna», le scrive una nota piuttosto secca e sgarbata. «Non ho tempo per lei. E siccome il manoscritto che mi ha mandato è troppo grande, io non ho una busta dove inserirlo, per spedirglielo indietro». In più, l’uomo si tiene la bella cartellina in cui questo libro gli era stato mandato.

Senonché, a mandarle questo libro, era stata Joanne Rowling, e la stampata che l’uomo aveva sulla scrivania era nientemeno che la prima stesura di Harry Potter e la pietra filosofale, vale a dire quel libro che una volta stampato e pubblicato, vende 120 milioni di copie. Vale a dire quel libro, primo di una serie di sette, che vendono complessivamente quasi mezzo miliardo di copie e da cui sono stati ricavati diversi film, dal grande successo e dai grandissimi incassi.

Tant’è che sembra che Joanne Rowling sia la prima persona nella storia ad essere diventata miliardaria grazie allo scrivere libri. E sembra anche, a proposito di scrivere libri, che l’agente letterario ne abbia scritto uno pure lui, molto lungo, in cui ha inserito tutti gli insulti che si è dato nel corso degli anni. Ma di questo non possiamo essere certi.

Ciò di cui siamo certi, invece, è che nel rifiutare il libro di Joanne Rowling abbia commesso un grave errore. E sapete quella massima che si dice, no? «Sbagliando s’impara». Beh, io a lui non andrei a dirglielo, «Sbagliando s’impara». Perché nella migliore delle ipotesi vi fa pagare tutti gli anni di analisi a cui si è dovuto sottoporre, per superare il trauma, e nella peggiore delle ipotesi vi uccide. Lentamente, molto lentamente.

La storia di Joanne Rowling, di come sia passata dai primi anni molto difficili, in cui scriveva in un caffè di Edimburgo con la figlia in braccio a un successo incredibile è nota, molto nota. Un po’ meno conosciuta credo sia la storia di quelli che all’autrice di Harry Potter hanno detto ‘no’. Uso il plurale perché non è stato solo l’agente di cui sopra a respingerla. Gli editori che hanno rifiutato la prima stesura del libro sono stati dodici. Ora, dire a tutta questa gente ‘sbagliando s’impara’, oltre che pericoloso, forse è un po’ troppo semplice.

Sbagliando s’impara… un cavolo. Non è che fai la fesseria e magicamente sei più intelligente di prima.

Nel 2016 è uscito in Francia un libro scritto da Charles Pépin, professore di filosofia a Parigi. Il titolo dell’opera è Il potere del fallimento. Perché la sconfitta ci rende liberi, che in Italia ha pubblicato Garzanti. È un libro che ha avuto un grande successo. Anche a me è piaciuto, perché aiuta a vedere in chiave positiva i momenti di difficoltà, anche difficoltà profonda com’è il caso di un fallimento. Però l’autore prende in esame casi di gente che, alla fine, ce l’ha fatta. Ed è scontato, mi permetto, che anche il personaggio più affermato sul pianeta, alle spalle abbia qualche cosa andata male, poco o tanto male.

Facciamo comunque una prova? Qualcosa è andato storto, in ufficio, qualcosa che ci ha messo in grande imbarazzo con capo e colleghi. O qualcosa che ci costringe a lavorare  molte ore in più, per rimediare. Ora, in questo preciso momento in cui ci rendiamo conto di aver commesso l’errore e delle sue conseguenze, proviamo a  pensare che pure Steve Jobs è stato licenziato; che Thomas Edison ha bruciato un sacco di lampadine, prima di riuscire a inventarne una; che Richard Branson ha preso una bella nasata, quando ha provato a creare la Virgin Cola… Ah, ora stiamo meglio, vero? E no, mi sa di no. Mi sa che l’errore resta un momento #NonCeLaPossoFare.

Soprattutto quando l’errore è qualcosa che si ripete!

Epperò, se l’errore si ripete… vuol dire qualcosa forse, c’è qualcosa di interessante, nel nostro errore che vale la pena di indagare. Ma direi di farlo la settimana prossima. Che sennò questo testo viene troppo lungo. E questo sarebbe certo un errore.

 

 

 

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