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Scadenze e autolesionismo

Il podcast è qua, la foto è di Jordan Benton da Pexels

La settimana scorsa, qui a Non ce la posso fare, abbiamo ospitato Chiara Battaglioni, una professional organizer. Un’occasione per riflettere su come ciascuno di noi si organizza sul lavoro.

Personalmente mi sono chiesto quale sia una cosa che trovo particolarmente ostica, nell’organizzare il mio lavoro, qualcosa di fronte a cui mi sembra di non potercela fare. E mi è venuto in mente un grande classico: le scadenze.

Quelle cose che si segnano sulle agende, sui calendar digitali e via dicendo. Le scadenze con cui ho a che fare – come tutti credo – sono di due tipi: quelle che mi assegnano gli altri e quelle che mi do da solo. Quello che mi assegnano gli altri le gestisco non dico benissimo ma abbastanza bene. Su quelle che mi do da solo, è il disastro totale.

Quando capi, clienti, colleghi e via dicendo mi dicono «ci serve quella cosa entro quel giorno», l’accetto con una sorta di fatalismo. Sono scadenze che non dipendono da me, non sono io ad averle determinate. Devo consegnare un lavoro entro dodici ore? Così sia, si fa. È come quando fuori piove: mica posso fermare la pioggia, tutto quello che posso fare è attrezzarmi con il cappello giusto, le scarpe adatte e una borsa o uno zaino impermeabili.

Le scadenze che mi assegno da solo, invece…

«Daniele, per quando ci fai avere quella proposta?»
«Mah, guarda, di stasera no, ma domattina prima che fai colazione ce l’hai!»
«… Daniele, guarda che io faccio colazione alle cinque e mezza…»

«Daniele, quando carichi il post sul sito?»
«Oh, questione di poco, domani entro ora di pranzo…»
«Daniele, domattina sei in aula…»

Questa mia propensione a fissarmi da solo scadenze che non sono in grado di rispettare, credo sia conseguenza di un trauma giovanile. Università, esame di Analisi Matematica I. Un esame tosto, non foss’altro perché, in quanto esame del primo anno, ha connaturato in sé l’effetto barriera (dicesi effetto barriera quell’effetto generato dagli esami che sbattono in faccia allo studente il fatto che l’università potrebbe anche essere una cosa impegnativa).

Ai miei occhi, però, l’esame di Analisi I non era così terribile, perché iniziava con la domanda a scelta! Non avevo ancora capito, all’epoca, che la domanda a scelta è la più carogna che un professore può fare: se la sai perfettamente, grazie tante, l’hai scelta tu. Se qua e là hai solo qualche minima incertezza… e che cavolo, incespichi su un argomento che hai scelto tu?

Nel mio caso non si verificò né la prima né la seconda ipotesi. Alla domanda a scelta che mi ero preparato non risposi perfettamente e neppure con qualche incertezza. Non risposi proprio, feci scena muta che, su una domanda a scelta, effettivamente è impresa notevole. Preciso che non fui bloccato dall’emozione, dalla tensione o roba simile. Ero tranquillo e sereno, semplicemente non sapevo rispondere alla domanda che mi ero fatto da solo.

Riflettendo su questa mia propensione a ficcarmi autonomamente nei guai, ho imparato un paio di trucchi da mettere in atto laddove tocca a me definire delle scadenze.

Primo, rimbalzare la domanda. «Daniele, quando ci puoi consegnare la relazione?». «Ah no, dovete dirlo voi, io mi piego ai vostri desideri!»

Secondo, se proprio le devo fissare, meglio stare sul vago e prevedere possibili ritardi. «Guarda, nessun problema: per la fine dell’inverno ti consegno tutto, al più arrivo a metà primavera e, dovesse mai succedere qualcosa, garantito per Ferragosto».

Vabè, seriamente. Chi accetta o si fissa da solo una scadenza, e poi la fa saltare, fa una cosa brutta. E chi si giustifica atteggiandosi a persona importante con mille impegni fa una cosa ancora più brutta. Quindi, personalmente, quando faccio saltare una scadenza – perché talvolta mi succede, ahimè – me ne vergogno un po’.

Ah, analisi I l’ho superata, poi. E da lì, l’università è stata tutta in discesa. Più o meno.

Bene, l’undicesimo episodio di Non ce la posso fare si conclude qui. Vedrò di rispettare la scadenza di lunedì prossimo.

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